Inizierò a parlarvi di questo libro premettendo che l’ho acquistato circa due anni fa, è rimasto a prendere polvere per un po’ e alla fine ho deciso di leggerlo. Come si intuisce, non ero molto convinta dell’acquisto fatto, mi immaginavo un romanzo zuccheroso e decisamente poco adatto a me, poi per caso ho intravisto la copertina sepolta tra varie carte e mi si è riaccesa la lampadina, così è partita la lettura.
Akhila ha passato i quarant’anni, è una donna adulta che vive a Bangalore, in India, non è sposata, non ha figli, e condivide il suo appartamento con la sorella Padma, il marito e le loro due figlie. La vita di Akhila non è facile, è regolata da un rigido sistema sociale che la obbliga a non uscire dai propri binari, ma le esperienze che hanno caratterizzato la sua esistenza l’hanno condotta ad essere fuori da questo schema e, contemporaneamente, ad esserne succube. Maggiore di quattro figli, perde il padre in un incidente quando i suoi fratelli sono ancora bambini, e diventa sua la responsabilità di mantenere la famiglia. Sua madre è una donna debole, che incarna lo status sociale di moglie, madre e casalinga sottomessa completamente al volere del marito, incapace di sostenere le necessità economiche e morali di una famiglia, e Akhila è costretta a sostituirla diventando il nuovo capo famiglia. Comincia a lavorare e dispone i propri soldi per far studiare i fratelli, per accumulare una degna dote alla sorella, dedita totalmente ai bisogni degli altri senza pensare mai a se stessa. Intanto i suoi fratelli si sposano, la madre muore e lei è costretta a trasferirsi in casa con Padma e famiglia, perché non è ammissibile che una donna viva da sola senza un marito.
Un giorno però decide che di questa vita ne ha spesa a sufficienza, inventa una scusa alla sorella che, sbigottita, non concepisce una donna da sola in viaggio, e parte, prende un treno diretto a Kanyakumari, con un biglietto di sola andata nello scompartimento dedicato alle signore. E’ il viaggio, fisico e metaforico, che Akhila stava aspettando da sempre, e finalmente ha trovato il coraggio di affrontare: una notte trascorsa insieme a cinque donne che condividono la sua stessa cuccetta, ma anche una notte che le permette di ascoltare cinque storie accumunate dalla voglia di vivere e di non soccombere alle leggi non scritte ma purtroppo loro imposte in quanto donne.
Il viaggio prosegue e Akhila, nell’ascoltare i vari racconti, ripercorre tutta la propria vita: i sacrifici compiuti per il bene della sua famiglia, i grazie che non ha mai ricevuto dai suoi fratelli, la solitudine che è stata costretta ad accettare, le ferite provocate dai discorsi di Padma fatti con le amiche dove descrive la sorella come inferiore a lei, non in grado di trovare marito perché di pessimo carattere e costretta ad ospitarla nella sua casa per accudirla. Il dolore più grande riguarda però Hari, la sua occasione perduta, il ragazzo conosciuto per caso del quale si era innamorata, ma troppo giovane rispetto a lei per garantirle la prospettiva di una famiglia senza che un giorno se ne potesse pentire.
Ora è giunto il momento di guardarsi indietro, di capire cosa veramente conta nella sua vita e di scegliere in che modo andare avanti, dire basta agli altri e concentrarsi su se stessa, prendere un treno e decidere di costruirsi la propria felicità, non preoccupandosi di cosa la gente possa pensare. E non parlo più solo di Akhila, ma di quello che il suo coraggio ci insegna, difendere le cose in cui crediamo e lottare anche quando ci sentiamo deboli. Sono troppo idealista? Qualcuno potrebbe pensarlo, ma se vi ho convinto a leggere “Cuccette per signora” capirete che ho ragione.
E voi cosa ne pensate?
“Cuccette per signora” di Anita Nair, ed. Beat e/o ed. Guanda, pag.332
mariangela dice
La società indiana che la Nair vuole rappresentare, tradizionalista e conservatrice, esplica pesanti condizionamenti sull’identità femminile: dipendenza dalla famiglia, impossibilità di autodeterminazione, soggezione alle figure maschili sono la regola per le protagoniste di questo romanzo.
I racconti delle sei donne (tenuti assieme da un pretesto fragilissimo, un viaggio in treno nella medesima cuccetta ferroviaria) si dipanano in modo parallelo senza mai incrociarsi; i fatti narrati sono così slegati che l’opera avrebbe tratto vantaggio – e si sarebbe forse presentata in modo più onesto – se fosse stata impostata come raccolta di racconti del tutto autonomi.
L’autrice ci prospetta questo gruppo di viaggiatrici che, senza timori o reticenze, si raccontano fin nei più intimi dettagli le vicende, talvolta scabrose, della loro esistenza.
Stupisce, innanzitutto, che si dia per scontata la confidenza tra donne accordata in modo così immediato e incondizionato. È più facile che questo tipo di complicità istintiva scatti tra uomini che tra rappresentanti del sesso femminile: antagonismo e diffidenza non mancano nei gruppi di soli maschi, ma in quelli di sole donne sono più spiccati e marcanti.
La narrazione risulta un po’ artefatta e forzata e lo svolgersi degli eventi, sempre a lieto fine, presenta contraddizioni in termini di tenuta logica e di tratteggio psicologico. Sono ingenuità (o furberie?) che si avvertono in particolar modo nella vicenda della moglie che ingozza il marito perché ingrassi fino ad aver bisogno di un ricovero in una clinica specializzata; la donna afferma di sapere che l’obesità gli fa regolarmente perdere mordente e cattiveria, gli ammannisce quindi, in modo subdolo e continuativo, abbondanti porzioni di cibo che ha cura di preparare personalmente. Sembra che il metodo dell’ingrasso funzioni: l’uomo, aumentando di peso, perde la sua tracotanza e si trasforma in un pingue borghese inoffensivo.
Anche la storia della donna che, dopo una sola settimana di bagni all’aperto, supera tutte le sue inibizioni e, riconciliatasi con il proprio corpo, riscopre improvvisamente i piaceri del sesso, è veramente troppo ottimista, anche a voler accordar credito alle propagandate proprietà terapeutiche del nuoto.
La narrazione delle vicende di Akila, quarantacinquenne sfruttata dalla famiglia che coraggiosamente decide dopo anni di sacrifici di cambiare vita, sembra essere più equilibrata e strutturata rispetto a quella delle altre donne. A poche pagine della fine del romanzo, però, terminato il suo viaggio in treno, la donna si concede una spensierata avventura sessuale occasionale. Quello che l’autrice non ci spiega è come possano tutti i condizionamenti accumulati durante un’esistenza di educazione repressiva improvvisamente allentarsi e lasciare spazio a tanta disinibita libertà d’azione.
Fin dal titolo l’autrice strizza l’occhio a una supposta sensibilità femminile che, grazie a Dio, è più complessa ed esigente. Questo quadretto rosa che l’autrice confeziona per blandire un pubblico di lettrici è nel complesso melenso e poco veritiero.
Mariangela