Non avevo letto nulla di Amélie Nothomb fino ad oggi, e ammetto di essermi persa molto! Sono infatti corsa a procurarmi un altro suo romanzo, mi piace il suo stile narrativo intenso, conciso e divertente, una scrittura che scivola veloce ma sempre accompagnata da ironia e significato. “La metafisica dei tubi” è una lettura agile, poco più di un centinaio di pagine che ho letto in pochi giorni durante il tragitto in metropolitana per andare al lavoro, e ci racconta di una bambina di origine belga, che nasce però in Giappone e trascorre qui i primi anni della sua vita.
La voce narrante che accompagna il lettore è quella della bambina protagonista, nata “ufficialmente” nel febbraio del 1970, all’età di due anni e mezzo, quando la nonna paterna le consente di aprire una porta segreta facendole conoscere la ragione principale per la quale la vita ha un senso: il piacere. Fino a quel momento la sua esistenza è stata inutile, dalla nascita “ufficiosa” alla conquista del piacere il suo corpo non aveva vita, ma era soltanto un tubo che svolgeva le uniche attività conosciute, la deglutizione, la digestione e l’escrezione. Non possedeva capacità di pensiero, di linguaggio, e trascorreva le giornate con gli occhi spalancati a fissare il soffitto, senza piangere e senza muoversi.
I suoi genitori chiamarono la figlia “la pianta” perché il suo stato sembrava quello di un vegetale, ma lei sapeva che si sbagliavano perché anche le piante hanno una vita, nonostante sia poco visibile all’uomo: “Hanno uno sguardo, senza ombra di dubbio, anche se nessuno sa dove sono le loro pupille”. Così un giorno, per reazione all’indifferenza della sua famiglia, il tubo comincia ad urlare, dando un primo segno di vita festeggiato con gioia dei genitori, ma presto detestato perché le sue urla non cessavano mai, punizione inflitta per la loro negligenza.
“Eppure non c’è niente di più fondamentale, nel divenire umano, degli imprevisti mentali. L’imprevisto mentale è polvere entrata per caso nell’ostrica del cervello” che, nel caso del nostro tubo, si chiama cioccolato bianco del Belgio: non tutto il cibo ha lo stesso sapore, come i suoi genitori l’avevano abituata a conoscere con biberon e mela grattugiata, ma esiste qualcosa di molto più gustoso che si scioglie sulla lingua e riempie la bocca con il suo sapore.
In quell’attimo il tubo si è trasformato in vita e la sua percezione del mondo è cambiata, il piacere ha svegliato il suo spirito iniziando ad imparare tutte quelle cose che, a due anni e mezzo, i bambini sanno fare come camminare, correre, parlare. Ma ovviamente accade in modo straordinario perché la tardiva scoperta del piacere ha scosso talmente tanto il tubo da renderlo incredibilmente attivo. I pochi vocaboli pronunciati come “mamma” o “papà” sono scelti con cura, l’intento è quello di intenerire il genitore e non causare sospetti sulla sua grande capacità di parlare correttamente il giapponese ed il francese. La parola “sostituiva il qualcosa col niente: quella sostituzione era certamente opera divina”.
Aiutata in tutto questo da Nishio-san, l’amata governante che custodisce il suo segreto della parola e con cui affronta conversazioni sul senso della vita, e da Kashima-san, l’odiosa governante che però conosce il vero significato del silenzio, il tubo si evolve in un essere pensante, impara le dinamiche tra le persone e apprende le proprietà del linguaggio: “L’analisi dell’edificante linguaggio altrui mi portò a questa conclusione: parlare era un atto di creazione ma anche di distruzione. Era meglio starci attenti con questa invenzione”. Sono decisamente d’accordo.
E voi cosa ne pensate?
“Metafisica dei tubi”, A. Nothomb, ed. Guanda pag.129 (€ 8,50), ed. Voland pag.128 (€ 11,00)
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