Ciao a tutti!
E devo dire di avere avuto per la prima volta anche un libro martire, nel senso che questo libro l’ho materialmente davvero distrutto, per quanto la mia cura per carta ed inchiostro sia di solito esemplare, ma le mie vicende personali hanno un po’ influito sulla lettura di Aimee Bender e la mia copia del romanzo ne ha risentito nella sua integrità fisica. Anche se in fondo qualche segnale di probabile distruzione avrei dovuto coglierlo a partire dalla copertina. Lo so, i libri non si giudicano dalla copertina, ma ho già confessato più volte di avere un debole per le copertine e quando trovo l’immagine che mi colpisce è difficile che riesco a trattenermi dal curiosare sul libro e sull’autore.
Abbiamo quindi in copertina una ragazza girata di spalle con una coda di cavallo ed un vestito abbastanza infantile di colore rosa antico e decorato con una serie di piccoli cuori disposti con simmetria, se non fosse che la sua mano destra tiene stretta in pugno un’ascia appoggiata alla schiena, regalo di compleanno che Mona Gray decide si comprarsi per il suo ventesimo anno di età.
La storia di Mona è, in un certo senso, lo scorrere ed il protrarsi del suo personale martirio, esattamente come lo è stato per la copia del mio libro. Disadattata, poco socievole, concentrata e disturbata a capire le ragioni dalla malattia del padre che l’allontanano dalla vita reale, ha tagliato fuori dalla sua esistenza le emozioni che potrebbero farla felice, allo stesso modo in cui ha pensato che tagliarsi una gamba o un braccio con la sua ascia potesse farle espiare quella sensazione di isolamento sociale ed emotivo nella quale ha imparato a crogiolarsi per difendersi dal dolore.
Non è però riuscita ad arginare dai suoi pensieri la matematica, unica fonte di passione che, in maniera precaria, le permette comunque di tenere un contatto con la realtà diventando insegnante in una scuola elementare ed inventandosi uno strumento singolare per spiegare ai suoi alunni le addizioni e le sottrazioni. Ogni bambino può portare in classe un oggetto che per lui rappresenta un numero e spiegare ai compagni cosa significa quel numero per lui. E siccome la fantasia ai bambini non manca, ma qualche contenuto di realtà passa anche attraverso l’immaginazione più fervida, ci troviamo davanti ai messaggi degli alunni di una seconda elementare che descrivono le loro riflessioni ancora acerbe sul quella parte ridotta del mondo esterno che per ora hanno conosciuto e che, nel bene o nel male, gli ha trasmesso qualcosa.
Mi piace pensare che la personalità di ognuno di noi sia data dalla somma delle esperienze che ha vissuto e dalla sottrazione di tutto ciò che invece gli è stato negato, un po’ come il compito degli alunni della classe di Mona che, per quanto bambini, riescono a far emergere la propria gioia e la propria sofferenza mediante i numeri. La matematica che si trasforma in un mezzo interpretativo per cogliere le sfumature emotive del reale, non originale ma di sicuro effetto.
E voi cosa ne pensate?
“Un segno invisibile e mio” di Aimee Bender, ed. Beat, € 9.00, pag. 240.
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