Il Giardino dei sussurri si apre alle persone come una distesa di piccole dune, illuminate da esili fili di luci e interrotte da arbusti magri, ridotti all’osso come solo la vita del deserto sa fare.
Lungo la passerella di legno si scopre un paesaggio misero, reso ai minimi termini, in mezzo a cui sorgono altrettanto miseri accampamenti.
Un bivacco, fatto di cose semplici, ruota intorno al fuoco perennemente acceso, come un ritorno all’essenziale.
Il cammino di scoperta si popola di voci bisbigliate, rumori vaghi che coinvolgono i sensi di chi ci si avventura.
Agli occhi si delinea una vita rude, dove vengono meno i comfort a cui ci si è abituati e di cui ci si è resi dipendenti.
Siamo tornati alle origini o è un viaggio verso un futuro di rinunce? O forse è il presente più amaro, quello da cui distogliere lo sguardo?
A camminare tra le tortuose curve di questo paesaggio ci si perde tra le sensazioni, il percorso di inizio e di fine sfugge alla nostra memoria.
Un deserto tra le mura di una chiesa gotica
L’orizzonte di questo deserto però coincide con le mura di una chiesa gotica del XIII secolo.
A salvarci dallo smarrimento di una vita che non riconosciamo come nostra ci appaiono infatti le alte vetrate del Couvent des Jacobins.
Gli ampi spazi della navata si fanno così culla di un allestimento artistico provocatorio, che supera il minimalismo delle cose per colpire l’osservatore.
Siamo a Tolosa e a prendere forma è il pensiero di Op de Beeck che trasforma una delle chiese domenicane più belle d’Europa in uno spazio da leggere ed interpretare.
Chiesa che artisticamente e storicamente ha già un percorso carico di valore.
L’edificio fu infatti realizzato per ospitare le spoglie di Tommaso D’Acquino, passò poi per alterne vicende dalle mani dei monaci a quelle dell’esercito. Giunto fino a noi dopo il recente restauro concluso nel 1972.
Un percorso multisensoriale
Il Giardino dei sussurri, creato per il festival Printemps de Septembre, nasce con l’intento di sollecitare tutti i senti dei visitatori, catapultandoli in un luogo senza tempo. Mistico, suggestivo, forse spettrale è il giardino dell’artista belga, ricco di richiami religiosi e antropologici.
L’allestimento gioca sull’alternarsi di pieno e vuoto, facendo della miseria di stracci e plastiche dei bivacchi finestre su mondi “altri”.
I vuoti spaziali danno respiro al pensiero del visitatore. Questo, solleticato dai bisbigli e dai grezzi tratti delle dune, perde il senso del confine tracciato dal perimetro della chiesa.
Riflettendo si perdono i punti di riferimento.
L’artista chiede di abbandonare il proprio orizzonte di pensiero, di valicarlo.
Appare così il deserto, distesa senza orizzonti per eccellenza, che con la sua ripetitività non concede agganci di riconoscimento.
Vedere altro da noi, dai nostri tempi e spazi è l’esperienza più forte che si possa sperimentare.
Op de Beeck ci concede l’occasione di farlo, arricchendo di senso nuovo lo spazio sacro della chiesa.
Per intraprendere il viaggio attraverso il Giardino dei sussurri si ha tempo fino il 27 novembre.
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