Quando una cosa mi piace davvero tanto, trovo sempre un po’ difficile scriverne.
Non so perché, ma qualche volta le parole sono strane, è come se riuscissero a rendere un po’ ridicole anche le cose più belle, o non riuscissero veramente ad esprimere quello che voglio dire.
Quante volte mi è capitato di storcere il naso ad una frase estremamente “romantica”, accompagnando la smorfia col classico “bbbleah”, sebbene il concetto in sé non fosse nemmeno tanto malvagio tutto sommato. Ma questa è un’altra storia…
In ogni caso è una caldissima sera di Giugno, io sto aspettando (ovviamente invano) che la mia tisana si raffreddi, ed ho bisogno di sentire il tintinnio confortante dei tasti, che sembrano fare meno rumore del solito, forse perché rispettano la voce di Chet Baker in sottofondo.
Non mi va di fare una di quelle recensioni “normali”, di cui non sarei nemmeno capace, siccome non conosco le regole che governano la “sacra scrittura critica”. Vi volevo parlare di una persona, che scrive libri (bei libri)e che si chiama Domenico Cosentino.
In un mondo così mutevole, in cui molto spesso le persone fingono di essere ciò che non sono, un po’ per necessità, un po’ perché lo vogliono, sento il bisogno concreto di circondarmi di cose vere, di sentire parole vere, senza filtro, alle quali poter credere, di cui potermi fidare, nel bene o nel male.
Domenico è una persona autentica che riesce ad essere se stessa completamente quando scrive. Non indossa maschere, protezioni che fanno un po’ comodo a tutti in fondo, perché essere se stessi è sempre una grande scommessa, un grande punto interrogativo, un atto di coraggio che porta ad esporsi, e quindi ad essere vulnerabili.
E a nessuno piace esserlo,o almeno non a me.
Se lui pensa una cosa, la scrive senza preoccuparsi delle conseguenze e non ti indora nessuna pillola, mai. Mi ricordo che una volta mi disse : <<Io non sono il tipo di persona che finge di essere migliore di ciò che è>>, e questa frase mi viene spesso in mente e mi fa sorridere, perché ne trovo conferma nei suoi libri, e perché , forse, non posso dire lo stesso.
Ho letto due dei suoi libri: “Meglio per tutti dare la colpa a me” e “Le città invivibili”: li ho veramente “divorati”, un po’ perché sono brevi ( quindi, se non avete troppo tempo da dedicare alla lettura, ci potete buttare comunque un occhio), un po’ perché non riuscivo a staccarmi, quasi fisicamente, da tutto quello che stavo leggendo.
Il suo modo di scrivere è veramente particolare, ti fa entrare in una dimensione diversa, in cui le contraddizioni non si annullano le une con le altre, ma si completano a vicenda, si accettano, come è giusto che sia, forse, lasciandoti sicuramente un po’ più ricca di prima. E’ una scrittura dura, che ti colpisce costantemente in pieno viso e ti lascia senza difese, un tipo di scrittura che ti potrebbe far venir voglia di chiudere tutto e lasciar perdere inizialmente, ma alla fine, se ci pensi, ti risulterà veramente impossibile farlo, perché t’accorgerai di essere già completamente rapita.
E’ una scrittura contro la quale lottare, con la quale fare a botte ma alla quale, alla fine, dovrai arrenderti. Ti accorgerai di esserti lasciata andare a qualcosa di completamente diverso da quello che sei , o almeno credi d’essere,ma che contemporaneamente rappresenta la parte più vera di te, la tua essenza. In un modo o nell’altro non ti sentirai più la stessa, ti renderai conto che le sue parole, così apparentemente ruvide, così toste, così dolorose, t’hanno portata per mano, anche un po’ teneramente, lungo un percorso di accettazione della parte più sbagliata, più complicata e conflittuale di te, quella che tieni nascosta al mondo perché sai che nessuno potrebbe capire.
Eh beh, qualcuno capisce.
Lui dice sempre che scrive per liberarsi: una volta che ha dato forma di parola al suo dolore è come se se ne liberasse, almeno per un po’, ed è forse per questo che immagino sempre che odi e guardi con disprezzo i suoi libri, una volta che li finisce e se li ritrova davanti. Perché comprimono tutto, tutto quello che vive, tutto quello che sente, rappresentano l’innegabile evidenza, quella sofferenza che non puoi più cercare di stemperare con un sorriso amaro, come faresti normalmente. E’ lì davanti a te, ha una forma reale..
Trovo straordinario il suo coraggio, l’ho sempre ammirato per questo. Non credo che riuscirei mai ad essere così vera e a darmi in pasto agli altri senza nessuna protezione, come fa lui quando scrive. Quando parliamo dei suoi libri lui, quasi ingenuamente, mi sottolinea sempre : “Guarda che è tutto vero eh? Tutto vero”, come per dire che tutto ciò che di più assurdo, incredibile, “sporco”,” basso “ io vi abbia trovato, è verità, è vita, quasi volesse rispondere involontariamente al mio bisogno di realtà.
Non credo sia una scrittura per “signorine per bene”,ecco, ma se siete pronte a leggere i pensieri di qualcuno che non si siede lì a scrivere ciò che sa potrebbe far piacere o catturare il lettore, che lo rispetta non prendendolo in giro, ma confessandogli solo la verità, senza alcuna barriera e senza filtro.. beh, allora avete trovato ciò che fa per voi.
Niente, ho finito. Vi voglio lasciare una delle poesie che mi è piaciuta di più, tratta dal suo libro: “Meglio per tutti dare la colpa a me”. Mi fa venire in mente di quando regalai un limone ad un tizio, che mentre lo odorava mi parlava delle storie d’amore tra gli alberi dell’Orto Botanico…
“davanti al monastero di santa chiara,
un lunedì pomeriggio
c’è gente come me.
un barbone riverso sui gradini della chiesa
che declama versi di un poeta sconosciuto.
una coppia di slavi,
che ciucciano vicendevolmente da una bottiglia di rosso
e rubano un po’ d’amore alla vita,
nascosti dietro ad un cespuglio
di biancospino.
un violinista zingaro
che tormenta il suo strumento
e negli occhi ( che guardano dietro di me)
sogna la speranza.
e poi ci sono io.
Seduto su una panchina di cemento
mi fumo una sigaretta arrotolata (male)
e non so cosa fare.
in questo lunedì anonimo
mi sento tra persone perse
mi sento in famiglia”
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