“Il cuore di Simon adesso migra, è in fuga sulle orbite, sulle rotaie, sulle strade, trasportato in quella cassa dalle pareti di plastica… scortato con attenzione assoluta, come un tempo si scortavano i cuori dei principi.”
Ci sono storie difficili da raccontare, ancora più difficili da vivere. Sono storie a cui siamo passati di fianco, che ci hanno sfiorato, che abbiamo vissuto in prima persona o che, per esorcismo, abbiamo immaginato. Riparare i viventi, di Maylis de Kerangal (Feltrinelli) racconta una di queste difficili storie.
Perché leggere Riparare i viventi? Perché è la storia di un trapianto di cuore. La storia di un cuore che lascia la sua casa, il corpo e la vita con cui ha vissuto fino a quel momento, per dare vita ad un altro corpo che si sarebbe spento.
Ma non si limita a raccontare la meccanica dei fatti: ci fa conoscere tutti gli attori di questo tragico e difficile evento. Il giovane ragazzo appassionato di surf che esce anche al gelo, con gli amici, per affrontare qualche onda. Sua madre, il padre, la sorella e la loro reazione all’incidente. L’anestesista, l’infermiera e il mondo ospedaliero che si attivano per salvare una vita. Gli addetti ai trapianti di organi, quelli che devono fare con le parole giuste una domanda scomoda, molto scomoda. I chirurghi. La persona che riceverà un nuovo cuore, con le sue ansie e le sue paure…
Pur parlando di morte, Riparare i viventi è un inno alla vita. Maylis de Kerangal ha una scrittura precisa, descrive in modo minuzioso luoghi e sensazioni, così da farci entrare nel mondo raccontando. I periodi lunghi sono leggeri e scorrono in fretta. È un libro che si divora.
Nel raccontare un dolore straziante, l’autrice non calca la mano sulla tragedia, anzi, le restituisce una dignità che la comunicazione di oggi ha dimenticato. Sono molti i libri che narrano storie tragiche, per una famiglia o un popolo intero, ma in Riparare i viventi le parole sono dosate. Una lacrima scappa, perché siamo infinitamente umani. Ma non perché l’ha voluto l’autrice.
Perché leggere Riparare i viventi? Perché una storia di circa 24 ore ci resta aggrappata addosso per giorni. Ci spinge a riflettere, a rivalutare le priorità, a ragionare sul nostro ruolo di possibili donatori e riceventi.
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