Non sempre la siccità porta conseguenze negative. La riemersione dalle acque del tempio di Quechula, nel Chiapas, è infatti un evento eccezionale e tutt’altro che scontato. Il bacino creato dalle acque del fiume Grijalva è calato di oltre 25 metri in seguito a diversi mesi di siccità, permettendo così agli abitanti del posto di ammirare ancora una volta il santuario dedicato a Santiago.
Originario del 1564, fu progettato dai conquistadores spagnoli e poi realizzato da un gruppo di monaci, guidati da Friar Bartolome de las Casas, lungo la strada maestra della regione del Chiapas in Messico, denominata la Strada del Re.
La realizzazione in una zona tanto strategica per la regione, così come le sue dimensioni notevoli, 61 m di larghezza e 14 di lunghezza, lasciano intravvedere la volontà di accogliere un gran numero di fedeli tra le sue navate.
Il destino del tempio è però complesso, legato al propagarsi della peste nella regione, prima nel 1773 poi nel 1776, epidemie che portarono gli abitanti ad abbandonare la zone e la stessa chiesa.
Lo spopolamento dell’area fu così radicale da determinare probabilmente anche la mancata assegnazione di un prete al tempio che rimase così un luogo destinato all’incuria.
Sembra però che il santuario di Quechula sia ritornato in uso intorno al XX secolo, per poi scomparire sommerso dalle acque nel 1966 a seguito della costruzione della diga di Nezahualcoyotl.
Paradossalmente è proprio la siccità ad aver ridato visibilità alla chiesa, riportando l’edificio alla luce già nel 2002, anno in cui gli abitanti poterono addirittura camminare tra le navate ed ammirarne gli interni.
Durante gli anni di studio effettuati da una equipe di architetti ed esperti è stato inoltre scoperto all’interno l’ossario delle vittime della grande peste, traccia inequivocabile del triste destino del santuario di Quechula e della sua comunità.
Oggi l’edifico svetta ancora una volta tra le acque del Grijalva, regalando una vista affascinante per tutti gli amanti del mistero e dell’avventura.
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