Bentrovati anche oggi per un nuovo appuntamento tra i libri!
Oggi vi parlo ancora una volta di un romanzo di Grazia Deledda, vincitrice nel 1926 del premio Nobel per la letteratura. Si tratta del romanzo “Cenere” del 1904.
“Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po’ obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie. Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale. Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava striscie di scarlatto e nastri coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d’asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali ed amuleti”.
Una storia triste e significativa, è la storia di Olì. Una giovane donna che al mondo ha solo il padre e fratellini. Una vita felice e spensierata la sua, nella casa cantoniera affidata al padre.
E poi un giorno arriva Anania, uomo sposato e molto più grande di lei. Ed è subito amore.
Ma la relazione tra i due non si basa su un legame sincero, almeno da parte di Anania: l’uomo infatti non le confessa di essere sposato. Tra i due scoppia una forte passione, ostacolata dall’anziano padre della giovane, nel momento in cui viene a conoscenza del loro rapporto. E quando Anania va via, Olì rimane sola con il frutto del loro amore.
Olì infatti aspetta un figlio da Anania, e quando zio Micheli lo scopre, la giovane è costretta ad andare via di casa.
Olì si ritrova sulla strada, ripudiata dalla sua famiglia. E in tutta solitudine, decide di recarsi a Fonni, da una lontana parente del suo amante. Qui dà alla luce il piccolo Anania, che abbandonerà qualche anno dopo, proprio dinanzi la casa dell’amante. E da qui allontanerà per un lungo tempo, facendo perdere ogni traccia di sè.
Da questo momento in poi, l’autrice ci parla del giovane Anania, e della sua ricerca continua e ossessiva della madre scomparsa. Un pensiero che lo logora dentro, e lo tormenta profondamente nell’animo. La sua ricerca lo porterà lontano, prima a Cagliari, poi a Roma per seguire tutti gli spostamenti della madre.
Vi lascio con questo passo che adoro:
“Sì, tutto era cenere: la vita, la morte, l’uomo; il destino stesso che la produceva. Eppure, in quell’ora suprema, davanti alla spoglia della più misera delle creature umane, che dopo aver fatto e sofferto il male in tutte le sue manifestazioni era morta per il bene altrui, egli ricordò che fra la cenere cova spesso una scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita”.
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Aly dice
come finisce il romanzo?