Già il titolo di questo romanzo ci presenta il protagonista e la sua attività preferita. Ma non fatevi ingannare da un titolo così semplice perché Sepulveda ci trasporta, con estrema grazia, in un mondo a lui molto caro: la foresta amazzonica.
Il vecchio Antonio José Bolìvar vive ai margini della foresta amazzonica ecuadoriana. Della sua vita porta con se i ricordi di colono bianco, esperienza finita male, una foto sbiadita della moglie e vecchi romanzi d’amore che legge per colmare la sua solitudine e dare una luce alla sua vita, ormai scura. Egli però è custode di una sapienza speciale che gli viene dall’aver vissuto dentro la grande foresta, insieme agli Indios.
Josè, giovane, ha vissuto nella foresta e con la foresta: nel bene e nel male.
Quando si era trasferito a El Idillio assieme a sua moglie gli Indios gli avevano insegnato a cacciare, a pescare, a innalzare capanne stabili e a riconoscere i frutti commestibili da quelli velenosi. Questo idillio, peró, duró ben poco: sua molgie si ammaló di malaria e la morte la colse in breve tempo. José inizio a odiare la foresta, in maniera feroce,a tal punto da desidare che un incendio la bruciasse. Ma la foresta e le tradizioni degli Indios si addentrarono nel suo animo.
Un giorno peró, la vita a El Idillio, piccola colonia alle porte della grande foresta amazzonica, lenta e immutabile, venne sconvolta dal ritrovamento di un cadavere, mal concio, di un uomo. Dopo aver guardato nel suo zaino e avendoci trovato delle pelli di cuccioli di tigrillo, José capí al volo la situazione: l’uomo era stato ucciso dalla madre dei cuccioli, impazzita a causa del dolore dopo la loro perdita. Dopo questo avvenimento peró, per lei, tutti gli uomini avevano lo stesso odore e quindi erano tutti colpevoli dell’assassinio dei suoi cuccioli.
Il ritrovamento di un altro cadavere e di una mula squarciata indussero il sindaco a fare una battuta di caccia per uccidere la tigre.
Anche José, vista la sua conoscenza della foresta, venne chiamato a far parte della spedizione.
Alla fine, lasciato solo da compagni presi dalla paura, José accettó la sfida contro quell’animale stuopendo ma nello stesso tempo feroce.
Addentrandosi nella foresta alla ricerca dell’animale provava pena per quella tigre, distrutta dall’odio e impazzita per il dolore.
E, alla fine, se ne tornerà verso la sua capanna e verso i suoi romanzi, “che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana”.
Ho adorato questo romanzo fin dalle prime pagine: Sepulveda racconta con estrema maestria due anime, quella dell’uomo e quella della foresta.
L’anima di un uomo che prova sentimenti forti e contrastanti, che decide di terminare la sua vita in solitudine dopo aver vissuto come nessun altro.
L’anima della foresta, con i suoi tempi e le sue tradizioni, le sue contraddizioni e le sue violenze che l’anima dell’uomo deve imparare a rispettare.
Un libro prezioso, da regalare e regalarsi che ci fa capire come, molto spesso, l’uomo riesca a distruggere se stesso e ció che gli è stato donato con le sue stesse mani (tema quanto mai attuale ora come ora).
Aveva sentito dire spesso che con gli anni arriva la saggezza, e aveva aspettato, fiducioso, che questa saggezza gli desse quello che più desiderava: la capacità di guidare la direzione dei ricordi per non cadere nelle trappole che questi spesso gli tendevano.
Luis Sepulveda
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